Lucia Castellano dirige dal 2002 il carcere di Bollate.
Visto da tutti (detenuti, direttori, poliziotti) come un'anomalia nel sistema penitenziario italiano, è l'unico in cui si tenta ogni giorno di applicare la legge 354/1975, ovvero quella sull'ordinamento penitenziario.
Delitti e Castighi (Il Saggiatore, Milano, 2009), scritto a quattro mani dalla Castellano e da Donatella Stasio, giornalista del Sole 24 Ore, è un viaggio inquietante nella realtà carceraria del nostro paese. Attraverso i racconti di chi in carcere c'è, o c'è stato o vi entra ed esce come se al posto delle sbarre ci fossero porte girevoli, dipinge un quadro drammatico di cui poco o nulla si sa fuori dai muri di cinta. Senza mezzi termini, falsi moralismi o pietismi di circostanza.
Il punto essenziale è che la prigione viene intesa come "controllo dei corpi" e non come dovrebbe essere (secondo la legge del 1975, secondo la legge Gozzini del 1986, secondo il regolamento penitenziario del 2000), cioè un "servizio a persone private della libertà e tuttavia integre nei diritti fondamentali: salute, affetti, lavoro, studio, religione, movimento (ancorché limitato), privacy, manifestazione del pensiero. Non un luogo dove si finisce ma da dove si può ricominciare".
Un libro che va letto, come si dice. Da chi, però?
Non dai politici, che potrebbero in ogni momento rendersi conto della situazione (e non vogliono, come si racconta del ministro Mastella).
Va letto da tutti per capire che un sistema carcerario in linea con la legge (non con la fantascienza) serve a tutti, non solo a chi è dentro, ma anche, anzi soprattutto, a chi è fuori e pensa di non averci nulla a che fare.
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